3B-C-D IC “EZIO COMPARONI” , BAGNOLO IN PIANO (RE) – 2021
ANGELO
DIACCI
Catturato dopo l’8 settembre 1943, data dell’Armistizio, in Jugoslavia è internato a Hemer, in Germania, dove morirà dopo un anno di prigionia.
Era il 21 settembre del 1910 quando, alle 9:50 del mattino in via Villa Santa Maria 7, nei pressi di Novellara, si sentì il pianto di un neonato e le lacrime di gioia dei suoi genitori: era nato Angelo Vittorio Agostino Diacci. I genitori, Giustina Lasagni e Diacci Secondo, strinsero delicatamente il loro piccolo tra le braccia mentre le sorelle gli accarezzavano la testolina liscia liscia e con pochi capelli del fratellino.
Ad assistere al parto erano anche Formentini Pierino, che ogni giorno aveva a che fare con la legna, e Rossi; due cari amici della famiglia.
Passarono gli anni, e Diacci frequentò l’asilo, passando dalle elementari alle scuole medie, fino a diventare un adolescente ben formato: capelli castani e lisci; occhi castani profondi e un bel sorriso, il tutto in 1,69 metri di ragazzo. Decise di intraprendere l’attività di meccanico, ma…
La mattina del 18 novembre 1929 trovò nella cassetta della posta una lettera a lui indirizzata…
“Strano,” pensò il ragazzo “le uniche lettere che arrivano a casa sono da parte dei parenti in Sicilia oppure lettere indirizzate alle mie sorelle da parte dei loro fidanzati. Lesse la missiva:
“Gentile signor Angelo Vittorio Agostino Diacci, nato il 21 settembre 1910 in via Villa Santa Maria 7, è stato reclutato per intraprendere il servizio militare”, erano solo le prime righe e bastarono per capire che avrebbe dovuto lasciare la sua dolce casa per un po’ di tempo; ma non si immaginava che sarebbe stato rifiutato immediatamente a causa della mancata istruzione premilitare; ma da un lato era felice di poter continuare a dormire nel suo lettuccio caldo e confortevole…ù
Qualche anno dopo…
Una mattina la madre, come era solita fare, gli portò la colazione a letto: biscotti, latte, una spremuta d’arancia e… un’altra lettera!
Era il 10 aprile 1931 quando iniziò definitivamente la sua carriera militare. Venne inserito nel Reggimento di Artiglieria Pesante Campale, dove passò l’estate calda ed afosa, sotto la divisa da militare, insieme al nuovo amico Gianpiero, con il quale si divertiva a schizzarsi l’acqua delle pozzanghere nelle giornate più intense. In settembre si spostò a
Verona e lavorò al servizio della quarta compagnia, fino al trasferimento a Vicenza a tempo determinato.
Passò il Natale, tra abbuffate, festeggiamenti con gli altri militari, oramai suoi fratelli, e scambi di regali, fino a che l’11 gennaio del 1932 venne messo a compiere la ferma di nove mesi perché ancora privo del titolo di istruzione premilitare.
Terminati i 9 mesi, venne rilasciato in congedo illimitato e ritornò dai suoi cari, raccontando le sue esperienze, gustando le buone pietanze cucinate dalla madre e stando, per le prime settimane, 24h su 24 disteso sul divano a dormire e leggere giornali…
Ma tutte le cose belle a un certo punto terminano e la stessa cosa vale anche per Angelo, che nel ‘39 fu inserito nel Reggimento di artiglieria di corpo d’armata e il 20 dicembre fu inviato in licenza straordinaria illimitata. Dal 18 dicembre 1941 poté mettere in pratica quello che aveva imparato durante gli anni di addestramento perché era uno tra le migliaia di soldati che parteciparono alla guerra nei Balcani, combattuta nei territori della ex Jugoslavia. Nel mese di febbraio del 1943, Angelo viene proposto come operaio presso il moto Fides di Livorno, che produceva i siluri, ma purtroppo non supera il periodo di prova e viene spedito nuovamente a combattere nei Balcani Qualche mese dopo (8 settembre 1943) l’Italia annunciò la firma dell’armistizio con gli Alleati Anglo-Americani, ne conseguì che l’indomani, l’ormai adulto soldato, dovette dire addio per sempre alla sua famiglia ed ai suoi amici perché venne catturato dai tedeschi e deportato al campo di concentramento di Hemer dove morì il 16 settembre dell’anno seguente, alle 7:15 del mattino, a causa di una miocardite, aggravata da problemi ai polmoni e ai reni.
Hemer, 10 Settembre 1944
Cara famiglia,
sono io, vostro figlio Angelo, è ormai da tanto che sono malato, i “medici”, o meglio gli infermieri, non mi hanno ancora detto che cos’ho.
Purtroppo qui la situazione sta peggiorando e non so se tornerò a casa. Madre che mi hai dato la vita, so che è difficile per te, pensare che io non possa tornare vivo, ma devi continuare a vivere anche senza di me.
Sono stato portato in infermeria, a causa di una malattia che forse mi porterà dal Signore, in un altro mondo.
Da quando sono qui non faccio altro che pregare, e sperare che arrivino presto gli alleati, ma credo che ci vorrà ancora molto tempo.
Spero di tornare qui un giorno e di poter ammirare questo posto in silenzio, in un periodo di pace e dopo essermi lasciato alle spalle tanta sofferenza.
Spero di tornare per rivedere voi, e passare tutto il tempo che mi resta in pace e in silenzio.
Qui non riesco a dormire, ci sono spari continuamente, lamenti e persone che muoiono.
Probabilmente senza questa malattia non avrei la possibilità di scrivervi, ma allo stesso tempo, mi sento in colpa perché fuori c’è qualcuno che sta combattendo al mio posto.
Qui ho conosciuto Luigi Santini, che è diventata l’unica persona con cui posso parlare.
Anche lui ha una malattia di cui non conosce il nome, che gli provoca dei fortissimi mal di testa.
Entrambi abbiamo una famiglia e spesso ne parliamo, ma lui è convinto che non potrà più rivederla a causa della guerra.
Purtroppo anche le mie condizioni di salute stanno peggiorando e qui mi tengono solo su un lettino, senza occuparsi realmente di me.
Le condizioni igieniche sono disastrose, e altrettanto lo sono i pasti. Madre e padre, a voi chiedo solo di non preoccuparvi per me e di continuare la vostra vita anche nel caso in cui non dovessi tornare.
Di italiani in infermeria ci siamo solo io e Luigi, ma lui tra poco tornerà a lavorare in miniera, perché secondo gli infermieri non soffre di nessuna malattia.
Per me è stata una notizia veramente dolorosa, perché nel caso in cui dovessi vivere il mio ultimo giorno, lo vivrei da solo, come un cane.
Solo al pensiero di morire mi vengono i brividi, ma ho capito che prima o poi tocca a tutti.
Voi, cari genitori, che mi avete dato il nome di Angelo, lo avete fatto per la vostra immensa fede cattolica, e così il mio nome diventerà la mia nuova vita, una vita da Angelo, al fianco del Signore, e finalmente potrò raggiungere un mondo pacifico dove il silenzio regna.
Voi non vi date pensiero per me e continuate a vivere come avete sempre fatto.
Così finisce la mia lettera per informarvi della mia situazione. Spero che da un giorno all’ altro arrivino gli alleati e ci liberino, così finalmente potrò tornare da voi genitori adorati, e così staremo di nuovo insieme.
Saluti.
Il vostro Angelo
Cara famiglia, sono Angelo.
Vi scrivo dal campo stalag 6A a Hemer. Purtroppo sono giunto qui a causa dell’armistizio dell’8 settembre.
Sono stato in guerra dal 1941 al 1943 nei Balcani con il compito di ricaricare il cannone.
La guerra è stata molto lunga e dura: si udivano spari di fucili in continuazione e circolavano sempre carri armati.
Avevo paura di morire all’improvviso, lì in quel campo di battaglia.
Con l’armistizio dell’8 settembre quell’area era stata dichiarata territorio in stato di guerra; proprio per questo motivo arrivarono i tedeschi e mi misero davanti a una scelta: allearsi con loro o conservare la fedeltà alla mia patria.
É stato un momento molto difficile e terrificante, ma molti, come me, hanno deciso di non sottomettersi ai tedeschi e di rimanere fedeli allo stato italiano.
Così mi hanno temporaneamente portato nello stalag 6F e poi sono stato trasferito, dopo un lungo viaggio, fino allo stalag 6A.
Qui le condizioni sono terribili: dormiamo poco e ci alziamo molto presto per camminare fino alla miniera, dove scavare per trovare materie prime diventa sempre più faticoso. Fa molto freddo; siamo vestiti di stracci e possiamo mangiare solo pane e acqua sporca una volta al giorno. Nelle miniere siamo in tanti, c’è poco ossigeno e molti muoiono soffocati.
Se non lavoriamo abbastanza ci puniscono. Ho visto molti miei compagni essere portati via e non tornare più o cadere a terra sfiniti per poi morire.
Mi ritengo fortunato ad essere ancora vivo, ma ho paura di non farcela.
Dormiamo dentro capanne di legno molto sporche e i letti sembrano degli scaffali: sono tutti duri, scomodi e freddi. Qui ci si ammala facilmente, poiché c’è un’igiene pessima e molti germi; inoltre ci sono tanti infetti con malattie contagiose.
Spesso ho pensato di fuggire, ma è impossibile perché il campo è tutto circondato da filo spinato e le guardie ci controllano; chi ha provato a scappare è stato ucciso.
Mi mancano molto la mia casa e la mia famiglia, le belle giornate trascorse insieme, i pranzi domenicali, le risate e la gioia di quel tempo.
Mi ricordo di quando mi svegliavo nel mio letto con la luce del sole che entrava dalla finestra, per poi recarmi al mio lavoro di meccanico e di quando avevo una vita normale.
Il pensiero di essere con voi rende queste giornate più sopportabili. Vorrei essere insieme a voi per prendermi cura della mamma e aiutarla; vorrei ancora sentirmi parte di una famiglia e non da solo, a lavorare fino allo sfinimento come internato.
Ma la cruda realtà di questo campo, nonostante i miei bei ricordi, rattrista il mio cuore.
Nella speranza che la vostra vita sia felice, vi saluto tutti quanti.
Spero di rivedervi, di tornare a casa sano e salvo e che questo non sia un addio.
Con affetto,
Angelo Diacci
Angelo Diacci
via Verdi 10, 42011 Bagnolo in Piano RE, Italia