Ero il vento, per quell’attimo fugace, ero libero e veloce come il vento. Ma il vento non sente il cuore impazzito pompargli nelle orecchie, non sente il terrore salire dallo stomaco, passare bruciando la gola e infine iniettare sangue negli occhi.
L’adrenalina è un fiume dentro di me e copre quasi tutto il resto, non sento le mani e le braccia coperte di graffi, o il dolore all’occhio livido per le botte e i rami che bucano senza pietà i miei piedi scalzi.
Ma ho detto quasi, il dolore alla gamba invece è una fitta violenta che mi accompagna senza tregua, lì dove il proiettile ha lacerato la carne nel tentativo di fermarmi. Ma io sono il vento, un vento terrorizzato che corre per sopravvivere in un ultimo gesto estremo. Li sento alle mie spalle sono vicinissimi, non posso correre per sempre, lasciatemi andare, perché non posso vivere non… non sono nato per questo, non sta succedendo davvero, sono pazzi ho paura, aiuto… aiuto… aiuto.
La mia gamba non regge più, inciampo, i rami appuntiti mi tagliano, tagliano e tagliano come se non fossi nato per altro che per soffrire.
Alzo la testa a fatica, la vista offuscata e confusa per aver perso troppo sangue.
Davanti a me c’è ancora così tanta strada che sarebbe stato impossibile fuggire anche senza ferite.
Mi blocco a guardare la distesa di foglie che ricoprono tutto intorno a me.
Sono cadute anche loro, distese, inermi, la nostra vita è finita.
C’è qualcosa di diverso però.
Davanti ai miei occhi, così vicino che subito non l’avevo notato, un fiore. Un piccolo germoglio che lotta in mezzo a quella desolazione e alle foglie morte.
I miei occhi si riempiono di quel colore così delicato ma intenso e puro, e rido, rido mentre mi prendono per le braccia per alzarmi, mentre mi picchiano così violentemente da farmi svenire per un attimo e mi riportano dagli altri. Io rido come non ridevo da mesi, una risata vera e vittoriosa.
Non si sfugge alla fucilazione ma dalla morte si rinasce, la vita non si può fermare.
Ilaria Pica, classe 4L, Istituto Canossa