Classe 5D Liceo Ariosto – Spallanzani, Reggio Emilia – 2016
Giorgio
Melli
Quella di Giorgio Melli è una storia “salvata” quasi per caso, affiorata tra i relitti di una ricerca compiuta lo scorso anno dai ragazzi del nostro stesso Liceo Ariosto Spallanzani circa suo padre – Benedetto Melli – e sua madre – Lina Jacchia.
Questa coppia di ebrei reggiani, ben inseriti all’interno della società, aveva prima dell’inizio delle persecuzioni un negozio di chincaglierie in via Emilia San Pietro, a pochi metri dalla casa in cui viveva, all’epoca numero 28-32 e oggi numero 22, davanti alla quale aggiungiamo la terza pietra d’Inciampo della Famiglia Melli.
Sì, perché anche la vita di Giorgio è stata annientata dalla Shoah, ma in un modo subdolo, che fa di lui oggi una di quelle “vittime oblique” che troppo spesso non vengono considerate: il fascismo non l’ha ucciso fisicamente, ma ha devastato la sua mente, strappandogli la possibilità di vivere.
Andiamo per ordine: Giorgio Melli nasce in via dell’Ospedale numero 4 il 29 Novembre 1919 da Benedetto Melli, commerciante, e Lina Jacchia in Melli, casalinga.
La sua vita, almeno durante i primi anni, è tranquilla, e le foto di classe che il nipote di un suo compagno ci mostra rappresentano un ragazzo come tanti altri, sorridente e ricco di amici a cui – come il compagno stesso raccontava – non disdegna di dare una mano in matematica.
Giorgio è infatti un alunno modello, e dopo i primi studi, tra il 1930 e il 1938 frequenta con eccellenti risultati l’antenato della nostra stessa scuola, il Regio ginnasio-liceo Spallanzani: grazie all’archivio scolastico abbiamo perfino avuto la possibilità di vedere le sue pagelle, piene di voti sopra la media, compreso un dieci in Filosofia all’esame di maturità. È proprio dopo l’esame che però la sua vita, così come purtroppo quella di tanti altri, prende una triste direzione: l’estate della maturità, per Giorgio, coincide per l’Italia con quella delle Leggi Razziali, e poco importa se i Melli inizialmente riescono ad essere ebrei discriminati. La famiglia si divide: il ragazzo ha 19 anni, è portato per gli studi, ma in Italia non c’è più futuro per gli ebrei, e dunque per laurearsi è costretto a trasferirsi in Svizzera, mentre papà e mamma decidono di rimanere in patria. Il figlio in Svizzera, a Losanna, non si smentisce e nel 1943 si laurea in Ingegneria chimica: nella penisola, però, la situazione è critica, e anche Benedetto e Lina capiscono che è il momento di scappare.
Qui i contorni della ricostruzione storica si fanno indefiniti: come già detto l’anno scorso, i coniugi l’8 Dicembre del 1943 vengono arrestati proprio sul confine svizzero, a poche spanne dalla salvezza, e di lì a poco, il 26 Febbraio 1944, muoiono nelle camere a gas di Birkenau.
Non sappiamo se davvero il figlio, quel giorno, andò ad accoglierli e vide con i suoi stessi occhi l’arresto e, di fatto, la condanna dei genitori o piuttosto – com’è più probabile – apprese successivamente la notizia, ma fatto sta che la famiglia non si ricongiunse mai più. Ciononostante, la vita di Giorgio almeno apparentemente continua e il ragazzo si rifugia negli studi, conseguendo una nuova laurea in Scienze Politiche a Ginevra fra il 1944 e il 1948. Ma la guerra è ormai finita, e Giorgio sente che è il momento di tornare, sebbene della sua famiglia non sia rimasto più nessuno. L’unico documento certo relativo a questo periodo è una lettera che Melli scrive a Maria Jose Savoia, offrendosi come precettore dei suoi figli: si tratta senza dubbio di una fonte interessante, anche per il semplice fatto di riportarci parole scritte da Giorgio di proprio pugno, ma che spiega bene come gli ultimi anni di questa vita siano avvolti da una fitta nebbia. È infatti l’unica fonte sicura che abbiamo riguardo alla vita del ragazzo nel dopoguerra, e tutto ciò che sappiamo del suo rientro a Reggio Emilia è che nei primi anni vive presso una famiglia amica dei suoi genitori, che ha costituito per noi la risorsa più importante in questa ricerca.
Sappiamo comunque abbastanza da poter raccontare di come il dolore piano piano si impossessi di Giorgio e il ragazzo inizi a manifestare sempre più frequenti segnali di disagio psichico, sintomo di una mente ferita e sanguinante. La situazione degenera definitivamente e, dopo anni di ricovero in Villa Santa Chiara a Verona la vita, nel 1977, lo abbandona in quella stessa clinica.
Una vita segnata, un futuro probabilmente luminoso stracciato dal dolore che conduce alla pazzia.
Sì, perché anche la vita di Giorgio è stata annientata dalla Shoah, ma in un modo subdolo, che fa di lui oggi una di quelle “vittime oblique” che troppo spesso non vengono considerate: il fascismo non l’ha ucciso fisicamente, ma ha devastato la sua mente, strappandogli la possibilità di vivere.
Andiamo per ordine: Giorgio Melli nasce in via dell’Ospedale numero 4 il 29 Novembre 1919 da Benedetto Melli, commerciante, e Lina Jacchia in Melli, casalinga.
La sua vita, almeno durante i primi anni, è tranquilla, e le foto di classe che il nipote di un suo compagno ci mostra rappresentano un ragazzo come tanti altri, sorridente e ricco di amici a cui – come il compagno stesso raccontava – non disdegna di dare una mano in matematica.
Giorgio è infatti un alunno modello, e dopo i primi studi, tra il 1930 e il 1938 frequenta con eccellenti risultati l’antenato della nostra stessa scuola, il Regio ginnasio-liceo Spallanzani: grazie all’archivio scolastico abbiamo perfino avuto la possibilità di vedere le sue pagelle, piene di voti sopra la media, compreso un dieci in Filosofia all’esame di maturità. È proprio dopo l’esame che però la sua vita, così come purtroppo quella di tanti altri, prende una triste direzione: l’estate della maturità, per Giorgio, coincide per l’Italia con quella delle Leggi Razziali, e poco importa se i Melli inizialmente riescono ad essere ebrei discriminati. La famiglia si divide: il ragazzo ha 19 anni, è portato per gli studi, ma in Italia non c’è più futuro per gli ebrei, e dunque per laurearsi è costretto a trasferirsi in Svizzera, mentre papà e mamma decidono di rimanere in patria. Il figlio in Svizzera, a Losanna, non si smentisce e nel 1943 si laurea in Ingegneria chimica: nella penisola, però, la situazione è critica, e anche Benedetto e Lina capiscono che è il momento di scappare.
Qui i contorni della ricostruzione storica si fanno indefiniti: come già detto l’anno scorso, i coniugi l’8 Dicembre del 1943 vengono arrestati proprio sul confine svizzero, a poche spanne dalla salvezza, e di lì a poco, il 26 Febbraio 1944, muoiono nelle camere a gas di Birkenau.
Non sappiamo se davvero il figlio, quel giorno, andò ad accoglierli e vide con i suoi stessi occhi l’arresto e, di fatto, la condanna dei genitori o piuttosto – com’è più probabile – apprese successivamente la notizia, ma fatto sta che la famiglia non si ricongiunse mai più. Ciononostante, la vita di Giorgio almeno apparentemente continua e il ragazzo si rifugia negli studi, conseguendo una nuova laurea in Scienze Politiche a Ginevra fra il 1944 e il 1948. Ma la guerra è ormai finita, e Giorgio sente che è il momento di tornare, sebbene della sua famiglia non sia rimasto più nessuno. L’unico documento certo relativo a questo periodo è una lettera che Melli scrive a Maria Jose Savoia, offrendosi come precettore dei suoi figli: si tratta senza dubbio di una fonte interessante, anche per il semplice fatto di riportarci parole scritte da Giorgio di proprio pugno, ma che spiega bene come gli ultimi anni di questa vita siano avvolti da una fitta nebbia. È infatti l’unica fonte sicura che abbiamo riguardo alla vita del ragazzo nel dopoguerra, e tutto ciò che sappiamo del suo rientro a Reggio Emilia è che nei primi anni vive presso una famiglia amica dei suoi genitori, che ha costituito per noi la risorsa più importante in questa ricerca.
Sappiamo comunque abbastanza da poter raccontare di come il dolore piano piano si impossessi di Giorgio e il ragazzo inizi a manifestare sempre più frequenti segnali di disagio psichico, sintomo di una mente ferita e sanguinante. La situazione degenera definitivamente e, dopo anni di ricovero in Villa Santa Chiara a Verona la vita, nel 1977, lo abbandona in quella stessa clinica.
Una vita segnata, un futuro probabilmente luminoso stracciato dal dolore che conduce alla pazzia.
Giorgio Melli
Via Emilia S. Pietro, 22,
42121 Reggio Emilia RE, Italia