La riflessione di Simone Lodi del Cattaneo/Dall’Aglio dopo aver conosciuto il centro di documentazione sul lavoro forzato di Berlino-Schöneweide

Oggi, 1 marzo 2017, nella visita al centro di documentazione sul lavoro forzato di Schoneweide, abbiamo avuto occasione di approfondire il tema degli IMI, gli Internati Militari Italiani, un aspetto non molto noto della seconda guerra mondiale, ma che in realtà ha coinvolto centinaia di migliaia di persone.

Dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia ha firmato l’armistizio con le potenze alleate ed è di fatto passata sull’altro fronte, due milioni di soldati italiani si sono ritrovati senza ordini e senza sapere cosa fare. Si presentò allora una scelta importante per tutti questi militari: continuare a combattere tra le fila naziste in nome della ex comune ideologia, oppure cessare definitivamente di fare guerra e tornare a casa.

La maggior parte dei militari decise per la seconda possibilità: circa 94.000 soldati si arruolarono immediatamente nelle SS italiane e, successivamente, altre 103.000 unità aderirono all’esercito della Repubblica di Salò. Ben 810.000 uomini, tuttavia, rifiutarono strenuamente di procedere nel conflitto, per essere così catturati dai tedeschi sui vari fronti occupati dall’Italia fascista. Costoro vennero poi inviati in speciali campi, Stammlager e Offizierlager, e utilizzati come lavoratori coatti, anche se non furono mai riconosciuti come prigionieri di guerra.

A mio parere l’aspetto maggiormente interessante e controverso dell’intera vicenda riguarda la scelta che i soldati sono stati costretti a compiere: un dilemma morale forte, che coinvolge aspetti estremamente personali e che, date le eccezionali circostanze, rappresenta una decisione ancor più difficile, una vera questione di vita o di morte. Da un lato si poteva scegliere di continuare a combattere per mere questioni ideologiche, in nome di un credo superiore e assoluto: un imperativo categorico il cui perseguimento e la cui realizzazione era più importante della vita stessa. Tale scelta, che permetteva di evitare il campo di concentramento e la prigionia a tutti i soldati italiani, venne condiviso in larga parte dai militari che credevano nell’ideologia fascista, lasciando sperare in un futuro migliore in cui l’asse avrebbe vinto, il nazionalsocialismo avrebbe trionfato, e i soldati avrebbero avuto la certezza di continuare a vivere con le proprie famiglie. D’altra parte cessare il combattimento rappresentava il rifiuto di un’ideologia imposta con la forza da parte di un regime totalitario che ha condotto solo a morte e distruzione, e si configurava con l’opposizione ad una guerra combattuta senza convinzione. In questo modo i militari avrebbero potuto poi ritornare a casa propria, dalle proprie famiglie, e ricominciare a condurre una vita normale. L’opposizione non sarebbe però stata indolore, e avrebbe avuto conseguenze forse ancor più negative della permanenza nel conflitto: i nazisti avrebbero considerato i militari italiani dei disertori, li avrebbero quindi arrestati e inviati in campi di concentramento, nei quali la morte era frequente.

La difficoltà della scelta è rappresentata proprio dal fatto che in entrambi i casi la morte avrebbe potuto facilmente arrivare. Personalmente non sono in grado di prendere una posizione assoluta su questo tema, e non sarei in grado di farlo se dovessi compiere una simile scelta nella mia vita: dal nostro punto di vista, a posteriori, sembrerebbe più semplice decidere di non combattere ed opporsi ai nazisti, coloro che noi oggi sappiamo essere stati dalla parte sbagliata nel corso degli eventi. Questa sarebbe tuttavia una soluzione troppo facile e inconsistente, dal momento che opporsi ai nazisti avrebbe comportato la prigionia, e quindi avrebbe facilmente condotto i militari italiani alla morte. È necessario dunque capire se si preferisca anteporre il bene personale, ovvero la propria vita, al bene comune, inteso come la salvaguardia della pace, e quindi l’opposizione alla guerra. Inoltre, proprio perché si tratta di un tema così controverso e soggettivo ritengo sia importante riflettere e diffondere il più possibile una piena conoscenza e consapevolezza dei fatti accaduti, in quanto la formazione di un pensiero critico in merito a questioni di tale portata ci aiuta a capire chi siamo e ad affrontare le scelte che dobbiamo compiere nelle nostre stesse vite, pur sempre sperando di non dover mai affrontare scelte di tale portata.

Simone Lodi – Istituto Cattaneo Dall’Aglio – Castelnovo Monti