Io penso che Auschwitz non sia nato con lo sterminio di 6 milioni di persone, ma sia nato molto prima, partorito da piccoli ma gravi gesti che poco a poco si sono tramutati nella macchina dello Sterminio.
La nostra guida del campo è stata Michele, che ha detto una cosa che mi ha particolarmente impressionato e fatto pensare: Auschwitz non è morto. Riflettendo su queste parole mi sono accorto che Auschwitz non è nato in un giorno, Hitler non si è alzato una mattina dicendo “oggi ammazzo tutti gli ebrei”, non è stato un capriccio di un solo uomo svegliatosi male una mattina. Auschwitz è stato prima di tutto un percorso, scaturito da quei piccoli ma gravi gesti che si ripetono liberamente ancora oggi, sia su grande scala che nella vita quotidiana di ognuno di noi, di tutti. Auschwitz è durato 4 anni, non è stato prodotto da persone, bensì da emozioni e le persone muoiono, le emozioni no, rimangono, rischiano di tramutarsi in eredità. Intolleranza, razzismo, disprezzo, questo è ciò che vogliamo ereditare? Perché se cosi è, riaprite quei cancelli
Se Auschwitz si dovesse ripetere sarebbe ancora peggiore perché sappiamo cosa è stato. Ho visto cosa è stato, cosa ha provocato. Ho assistito alla testimonianza di uomini lacerati dal suo disprezzo, razzismo e intolleranza.
E’ questo ciò che vogliamo? Perché se così è, riaprite quei cancelli.
Pensate che i cancelli siano chiusi del tutto? Non pensate che quella “sporca” eredità possa rischiare di essere la chiave per riaprirli?
La mattina, in tram, quando rinunciamo a sederci vicino ad una persona considerata diversa preferendo restare in piedi, i cancelli si stanno aprendo o chiudendo?
Quando, anche solo scherzando, prendiamo in giro un compagno, o ancora peggio una persona a noi sconosciuta, per un diverso orientamento sessuale, religioso o semplicemente perché più piccolo, cosa stiamo facendo?
Se vogliamo davvero chiudere quei cancelli è inutile girarci intorno, l’unica cosa da fare è ricordare, dando peso ai ricordi nel nostro presente: tenendo gli occhi aperti senza cercare un capro espiatorio. Volendo quei cancelli si possono chiudere, intolleranza, razzismo e disprezzo, possono essere distrutti, la cura siamo noi. Auschwitz non è finito quel freddo 27 gennaio del ’45, Auschwitz c’è, è ancora vivo, è ancora intrinseco nelle nostre menti, e sta a noi il dovere di distruggerlo.
Responsabilità, responsabilità è la parola giusta. Dobbiamo essere responsabili su ciò che abbiamo, dell’eredità che ci è giunta e che dobbiamo tutelare, la cura al giusto siamo noi, il futuro, come ha detto Michele, siamo noi. Libri, testimonianze, visite, sono il lucchetto per quei maledetti cancelli. Studiamo, ricordiamo e agiamo, l’uomo non è Auschwitz, dimostriamolo.
Giovanni Bottazzi, 4B Liceo Aldo Moro