Terza immedesimazione, dopo visite e testimonianze, di Nicole Ricchetti

Ho fatto un sogno inquietante.
Un intreccio caotico di corridoi si diramava in una labirintica confusione.
Buio.
Nell’oscurità, tocco le pareti ruvide e scivolo, disorientata, nel nulla.
Un’eco di passi.
Cammino, ma sono ferma.
Immobile.
Ansia: se potessi, urlerei.
Il respiro è breve, impercettibile.
E so, che se urlassi, nessuno mi sentirebbe.
Non udirei, io stessa, la mia voce.
Nel vuoto, una fitta di gelo mi taglia la pelle.
Mi prende con intenzionale violenza.
Non oppongo resistenza, non è possibile ignorare questo richiamo.
Non questa notte, non ora.
Un sussurro dell’anima mi mostra la via, breve.
Una maniglia, una porta.
Spingo la pesantezza della coscienza.
Un boato, la porta si è chiusa.
Macabro, atroce, allucinante.
Pareti massicce, interminabili, eppure vedo un soffitto, deve esserci una fine, una conclusione.
Quest’altezza mi assorbe, mi annulla, mi denuda, mi umilia, mi schiaccia.
Io, piccola e compassionevole bambina.
Spaccature di cemento visibili alla luce.
A quella luce.
Così accecante, così improvvisa.
Da dove hai origine?
Tu non mi puoi conoscere; tu non puoi alleviare la mia angoscia.
Il terrore mi divora interiormente.
Vertigini di emozioni inibiscono la ragione.
Sbiadiscono i sensi, ogni equilibrio si dissolve.
Vorrei gridare, ma l’eco delle azioni passate, presenti e future assorbe la mia voce.
Disperazione: la porta è scomparsa.
Non ha lasciato nemmeno le sue cicatrici.
Mi distruggi.
E’ insostenibile, sono umana.
Annientami, questo buio mi acceca; scuoiami l’anima, questo silenzio mi accusa.
Fa comparire quella dannata porta.
Chi?
Adesso sono qui, sola.
E di me, e di te, devo rispondere.
Un senso di nausea mi inonda, graffio i muri fino a limarmi le mani.
Calma.
Ci sono solo io, e di me soltanto devo temere.
Quella luce mi appare inconsistente, illusoria.
Io lo sento che quell’oscurità ha fine.
Mi dirigo sotto la luce.
Le pareti si stringono a me e per un attimo sono a casa.
Non è coraggio.
Un bisogno, la curiosità.
Era necessario farlo.
Tutto cambia di prospettiva ed io non ho più paura.
Posso fissare quel cielo di catrame.
La stanza è me, ma io non sono la stanza.
Ora sono consapevole.
Posso uscire da qui quando voglio.
Ma non lo farò, non adesso.
Accarezzo le gelide pareti ed ascolto il silenzio.
Posso parlare.
Ma non ce n’è più il bisogno.
Diverrò cenere di stelle e tu non puoi fermare il corso del vento.
Non ho bisogno della tua pietà, io tornerò libera.
Senza corpo, ma con dignità.
Non puoi scappare dalla storia.
Non puoi ignorare le grida strazianti di chi chiede giustizia.
Grida che lacerano il telo spesso e grigio dell’olocausto.
L’olocausto della consapevolezza.
Lo stupro della ragione.

 

Nicole Ricchetti – 5O Istituto Canossa – Reggio Emilia