Istituto Lelio Orsi, Novellara (RE) – 2020
Vittorio
Busana
Ti racconto una fiaba… (non dimenticarla!)
C’era una volta un ragazzo di nome Vittorio Busana, nato il 16 settembre 1906 a Bagnolo, in provincia di Reggio Emilia. All’età di circa 20 anni si trasferì a Novellara insieme ai suoi genitori, Rismondo e Clorinda Migliari. Qui lavorava felicemente come agricoltore finché non venne chiamato alle armi nel 1939…
Ti racconto una fiaba… (non dimenticarla!)
C’era una volta,
un ragazzo di nome Vittorio Busana, nato il 16 settembre 1906 a Bagnolo, in provincia di Reggio Emilia. All’età di circa 20 anni si trasferì a Novellara insieme ai suoi genitori, Rismondo e Clorinda Migliari. Qui lavorava felicemente come agricoltore finché non venne chiamato alle armi nel 1939 per istruzione militare e, il 19 agosto 1943, arruolato nell’esercito, nel 3° Reggimento Genio di Pavia. La sera dell’8 settembre del ‘43 se ne stava tranquillamente in caserma con i suoi compagni, quando il generale Badoglio annunciò alla radio l’armistizio con gli Alleati. La notizia fu accolta dai soldati italiani con gioia illusoria, convinti che la guerra fosse finita. Tutto ad un tratto, però, si sentirono degli spari: erano i tedeschi che stavano entrando nella caserma e volevano prenderne il controllo. Vittorio fu catturato e interrogato, come tutti gli altri soldati: «Vuoi continuare a combattere per il regime nazi-fascista o preferisci essere imprigionato?». Busana disse NO alla collaborazione con i tedeschi e come lui altri 600.000 soldati che vennero deportati nei campi di prigionia. Da quel momento iniziò la loro resistenza passiva, una guerra senz’armi, fatta di sopportazione alla fame, al freddo, alle fatiche.
Vittorio fu caricato su un carro bestiame diretto in Germania, affollatissimo, pieno di gente e bagagli, dove non ci si poteva nemmeno sdraiare. C’era un caldo soffocante e vi era solo un piccolo finestrino che era meglio non aprire se non si voleva viaggiare immersi nella fuliggine. La fame era tanta, le condizioni igieniche pessime e il viaggio sembrava davvero infinito. Solo dopo giorni il carro si fermò e gli uomini furono strattonati fuori. A Vittorio venne assegnato lo Stalag ll B di Hammerstein (Pomerania), un campo di prigionia dove iniziò la sua vita (se fu vita) da Internato Militare Italiano (IMI).
All’ingresso del campo c’era un grosso e imponente cancello circondato da fili spinati neri. Le mura erano molto alte e tanto scure che sembrava fossero annerite dalla tristezza. Si vedeva una distesa di baracche di legno tutte uguali e si distinguevano le cucine, i depositi, le docce e le torri di guardia.
All’entrata Vittorio venne sottoposto alle punture antitetaniche e anti-tifo, gli vennero fatte le fotografie e gli fu assegnato il numero di matricola 41782.
Addosso aveva ancora la divisa estiva con cui dovette sopportare il rigido inverno. Una volta arrivato nelle camerate vide che c’era una miriade di letti a castello a tre piani con sopra due coperte corte e una scodella per mangiare. I gabinetti erano all’esterno, i lavandini erano sporchi, sudici e non erano sufficienti per tutti. L’alimentazione era scarsa e ogni giorno Vittorio riceveva la solita brodaglia di patate e rape e qualche pezzo di pane. Il momento più odiato dei prigionieri era il mattino perché veniva fatto l’appello durante il quale si mettevano tutti in fila e un soldato li perquisiva uno a uno. Se il militare era di cattivo umore, o se semplicemente gli veniva ordinato, cominciava a picchiare casualmente uno di loro, a volte fino ad ucciderlo. Vittorio fu picchiato parecchie volte e vide molti suoi compagni morire per questo. Dopo qualche mese fu trasferito nello Stalag VI D di Dortmund (Germania) dove la vita non era meno faticosa e i prigionieri erano sottoposti a lavoro forzato, trattati come schiavi, utilizzati per lo più per l’estrazione mineraria, nelle fabbriche di armi o nelle industrie private. Non sappiamo di preciso quando Vittorio fu portato qui e quale mansione gli venne assegnata, ma dopo tre mesi di internamento, il 26 dicembre 1943, è certo che morì tristemente, forse per intossicazione, alla precocissima età di 37 anni. Morì a Bochum sul Fronte tedesco e venne sepolto a Francoforte sul Meno, nel Cimitero Militare Italiano d’Onore, su ordine del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra, nella tomba 35 fila 4.
Questa non è una fiaba a lieto fine, ma una fiaba in cui il CORAGGIO TRIONFA sulla paura, sul male e sulla violenza. Vittorio Busana è stato un uomo che con forza silenziosa si è ribellato e ha avuto il coraggio di sacrificarsi per le proprie convinzioni. La sua storia ci insegna che la fedeltà ai propri ideali non sempre viene ripagata, ma è un valore importante perché ci permette di rispettare noi stessi e le nostre scelte.
L’uomo è nato libero e nessuno ha il diritto di togliergli la libertà.
Lo strano incontro tra un ragazzo, un colombiere e una pietra
Caro diario,
non sai cosa mi è successo oggi!
Stavo camminando normalmente quando, all’improvviso, sono inciampato su qualcosa e mi sono fatto male. Dopo la caduta mi sono alzato e ho visto che la cosa sulla quale ero inciampato era una pietra di ottone: appena l’ho vista, ho capito che era qualcosa di molto importante. Si trattava di una delle tante pietre d’inciampo poste in tutta Europa.
Avevo sentito tanto parlare di queste pietre nei ultimi giorni a scuola, ma non ne avevo mai vista una, meglio tardi che mai no?
Comunque queste “pietre d’inciampo” sono delle piccole targhe in ottone a scopo commemorativo poste su un sanpietrino, in memoria delle vittime della deportazione tedesca, davanti all’ultima abitazione scelta liberamente.
A un tratto ho sentito una specie di voce che veniva dalla pietra e mi sono avvicinato: non volevo perdere l’opportunità di parlare con una pietra d’inciampo!
Dagli umani vengo chiamata pietra: prima ero all’interno di una montagna, poi, un giorno, ho visto la luce grazie a un escavatore; in seguito un trapano mi ha incisa e sono stata posata qui per commemorare una persona che non ho mai visto.
La persona in questione si chiamava Vittorio Busana; ha militato per l’esercito italiano fino all’armistizio con i nazisti, e, essendosi rifiutato di combattere, è stato deportato in un campo di lavoro vicino alla città di Dortmund.
Dopo 53 giorni di permanenza nel campo è morto per un’intossicazione causata da particolari erbe tossiche che probabilmente aveva ingerito.
Non sono l’unica pietra che viene posata in Italia e nel mondo; migliaia di pietre sono state posate sulle strade di tutta Europa e ricordano solo una piccola parte delle centinaia di migliaia di caduti nella Seconda guerra mondiale.
Ma perché usare una piccola pietra per commemorare una persona così coraggiosa? Vedi, il meccanismo delle pietre d’inciampo è quello di trasmettere tanto con poco: siamo solo delle piccole pietre dorate lievemente rialzate dalle altre, affinché chi non sta attento a dove mette i piedi, inciampi non solo in un pezzo di roccia, ma anche nella vita e nei ricordi dell’uomo che essa conserva. Per questo secondo me ho un grande valore interiore e ne sono molto orgogliosa.
La pietra mi ha detto anche che Vittorio era un militare e prestava servizio nei colombieri; purtroppo è morto in ospedale in Germania in età ancora giovane ed è stato sepolto a Francoforte.
Studiando i documenti a scuola ho imparato anche che era un contadino e un elettricista; era nato a Bagnolo in Piano ma poi si era trasferito con la sua famiglia a Novellara.
Dopo aver detto tutte queste informazioni la pietra si è zittita. Mi sono fatto delle domande e ho compreso che la pietra mi aveva fatto cadere apposta su di lei per farmi fare un breve viaggio nella vita di Vittorio Busana: è stato un vero uomo e soldato e insieme ad altri ha fatto la storia di Novellara.
Vittorio Busana
Viazza S. Michele 18
42017 Novellara RE