E ora? Noi cosa possiamo fare? Dovrebbe essere questa la domanda su cui noi tutti, studenti e professori, dovremmo interrogarci. Non facile certo capirlo, ma altrettanto indispensabile. La Memoria, quella con la “M” maiuscola, assume vigore e credibilità soltanto attraverso la sua stessa condivisione e trasmissione; una Memoria sterile non può che rimanere, appunto, “dimenticata”. Ecco che ragionando in questo modo, la fine del Viaggio della Memoria sarà l’inizio di un altro cammino, tanto appagante e lungo, quanto faticoso. Faticoso perché mai come oggi ricordare è difficile: continuamente siamo bombardati da notizie da tutto il mondo, continuamente ci distraiamo e non osserviamo più ciò che ci circonda, continuamente sale il disinteresse per ciò che siamo stati e saremo.

Eppure è strano, dato che è consuetudine ripetere “Noi siamo frutto del nostro passato”, “Historia magistra vitae” recitava già Cicerone… anche lui scriveva “historia” con la “H” maiuscola. Viviamo in una realtà in cui il passato è l’ora scorsa mentre il futuro la prossima; una realtà dilaniata da una miopia storica quanto più pericolosa quanto più asettica. Credo, ma presumo “crediamo”, che questo sia l’insegnamento di Auschwitz: ricordare e ancora prima conoscere quanto successo per cercare di cambiare quanto sta succedendo. Dopo un’esperienza del genere pensiamo di essere davvero in grado di voltare le spalle a ciò che avviene intorno a noi? Auschwitz non dà risposte, solo domande. Riflettiamo su una situazione quanto mai attuale come il fenomeno dell’immigrazione: tutti sappiamo, tutti siamo consapevoli delle enormi difficoltà di queste persone eppure i contemporanei “Giusti tra le nazioni” sono sempre meno.

È pericoloso: quanti uomini negli anni dello sterminio, pur conoscendo, rimasero indifferenti, quanti anche collaborarono con un sistema omicida, favorendone lo sviluppo. A proposito ricordo le parole della guida “La Memoria può e deve essere dinamica, permettendo a ciascuno di leggere criticamente la società contemporanea”. Dunque come non interrogarsi su quello che i bambini dell’epoca rappresentavano coi loro schizzi quotidiani cioè morte, distruzione e sofferenza; disegni riportati sui muri delle baracche di Auschwitz I, che colpiscono per la loro semplice atrocità. Saltando ancora all’oggi torna strano notare come molti bambini, forse troppi, ancora raccontano la loro storia attraverso questi soggetti, erigendosi testimoni di crude realtà ancora esistenti. Auschwitz in conclusione mi ha insegnato questo, a come raccontare un mondo sempre in cambiamento, sempre più storicamente reazionario ma al contempo ho potuto impararne il paradigma; perché si sa: la storia si ripete.


Matteo Castagnoli, 5AL Istituto Silvio D’Arzo Montecchio