Berlino, giorno 4: i resti del campo di concentramento di Sachsenhausen sono una sorta di “anticamera” dell’orrore (per la storia stessa di questa specie di “campo scuola per apprendisti SS”). Ma nella voragine, l’anticamera è solo una “stanza” come tutte le altre. “Sono dieci giorni che non possiamo stendere il bucato in giardino”, protestò una signora del paese vicino, lamentandosi per i forni sempre accesi ad ingoiare soldati russi. Di nuovo, nel buco vuoto di ogni umanità è la “normalità” a diventare la più terribile delle colpe.
Marco Truzzi
SACHSENHAUSEN
Beh, che dire di questo viaggio… Ormai si sta concludendo. Mi dispiace molto lasciare questa bellissima città, piena di storia e di cultura. Ma proviamo a fare un passo indietro e vedere ciò che ho sostenuto prima di venire qui a Berlino.
Innanzitutto provengo da una scuola di Guastalla, grazie alla quale abbiamo fatto un piccolo percorso di “orientamento”, avendo avuto modo di confrontarci con una testimonianza dell’orrore dell’epoca nazista e anche di documentarci sulla storia degli IMI, per affrontare questa esperienza. All’inizio quando mi è stata riferita la destinazione ero molto entusiasta all’ idea di visitare luoghi a me distanti ma contemporaneamente vicini, luoghi dei quali conoscevo solo il nome per sentito dire, luoghi pieni di gioventù e di vita. Poi questa data, il 20 febbraio, si avvicinava sempre di più e aumentava la voglia di intraprendere questo cammino. E fu così che la sera del 20 febbraio arrivò, caricati sul pullman e diretti all’autostrada.
Ci vollero ben quindici ore di viaggio, le ore più lunghe che abbia mai affrontato, ore che non passavano mai. Era dura restare sveglia senza chiudere gli occhi, ma il sonno aveva la meglio. La prima tappa fu l’Austria, dopo cinque ore di viaggio, dove avvenne il cambio autista e in pochi secondi ripartimmo ancora per la nostra meta, che pareva sempre più vicina. Finalmente al pomeriggio del 21 febbraio arrivammo in hotel. Eravamo distrutti, stanchi, affamati, non vedevamo l’ora di dormire in un letto comodo. Il giorno seguente, sveglia alle sette, colazione e diretti alla visita del muro. Incontro assai interessante e colmo di storia che racconta dolore e morte, voglia di non abbattersi, di combattere, voglia di non arrendersi mai. Nel pomeriggio, affrontammo il tema principale del nostro viaggio, il campo di concentramento di Sachsenhausen. Per me era la prima volta in un campo e rimasi molto colpita, perché l’avevo immaginato così dai racconti, nonostante avrei preferito visitarlo per molto più tempo, per rendermi conto del disastro e della carneficina che ne fu fatta.
Poco dopo percorremmo la strada a piedi, sotto la pioggia incessante ed il freddo pungente di quei giorni, subito sentì qualcosa di strano nel mio umore non facile da descrivere, qualcosa che se non si prova questa esperienza non si capisce. La strada verso l’entrata del campo era lunghissima, marciavamo silenziosi, disposti in fila per due mentre le goccioline ghiacciate appesantivano i nostri passi, i nostri sguardi. Eravamo vicini, l’edificio in lontananza appariva sempre più nitido ed ecco che oltrepassammo il cancello e vedemmo in fondo la scritta della vera entrata “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi…
????????? Giulia Manfredini 4F ?????????? Istituto Russell Guastalla