Un pomeriggio fra il sottosuolo della capitale, sulle tracce dei vecchi rifugi.
Berlino, linea U8, fermata Gesundbrunnen. All’apparenza una fermata qualsiasi, se non per il fatto che al suo interno è conservato un pezzo della vita di tutti i giorni dei berlinesi durante la seconda guerra mondiale.
Tra i binari della metro e la superficie è incastonato un piano intermedio, che secondo i progetti degli anni trenta doveva essere adibito a magazzino, per poi subire il cambio di destinazione d’uso con l’inizio dei bombardamenti che interessarono la città a partire dal ’40; infatti si passò da magazzino a rifugio antiaereo.
L’atmosfera che si respira man mano che si avanza nel percorso assume toni quasi surreali, le emozioni e le sensazioni si accavallano e la fantasia aiuta a ricostruire le condizioni e le situazioni vissute all’interno di quelle mura che per tante persone hanno rappresentato la salvezza.
Da subito l’attenzione raggiunge livelli notevoli anche grazie all’abilità della guida.
Il racconto tra le varie tematiche ha lambito i sofisticati sistemi ingegneristici per ricircolo dell’aria, necessario alla sopravvivenza, quello che a noi risulta un curioso sistema logistico per lo smistamento della posta basato su un impianto di tubazioni all’interno della quale le capsule contenenti le lettere scorrevano grazie alla propulsione dell’aria, l’utilizzo di una speciale vernice riflettente in grado di garantire l’illuminazione della stanza in caso di lesione degli impianti elettrici del rifugio e l’ingegnoso sistema di controllo dei livelli di ossigeno nell’aria basato sul posizionamento di candele ad altezze graduali.
Un momento che ci ha ispirato grandi riflessioni è stato quando ci siamo seduti sulle panchine utilizzate dai berlinesi durante la permanenza all’interno del rifugio nell’attesa della cessazione della caduta degli ordigni.
La narrazione della guida ci ha fatto immedesimare nei rifugiati e si è materializzata l’atmosfera che aleggiava in quelle stanze durante i bombardamenti, un’atmosfera caratterizzata da ansia, tensione, paura, rabbia, incertezza ma soprattutto speranza, speranza di tornare il prima possibile alla normalità.
Normalità che per noi si è ri-materializzata abbandonando il clima surreale di quelle stanze e risalendo in superficie.
Matteo Adragna & Daniel Nigro – Istituto Scaruffi – Reggio Emilia