Camminai,
Su questa ghiaia tanto familiare ai miei piedi,
Camminai.

Camminai,
sotto tetti testimoni,
e pareti canarine,

simili al fulgido sole che,
come l’apice del dì
e lo zenith della notte,

appare per fragili momenti,
per poi scomparire,
nell’esausta speranza delle fameliche veglie.

Camminai.
Nelle bocche di cunicoli senza luce,
da cui, soliti erano i doppi fulmini,
portatori della Parola e di Morte,
guardarli.

Loro,
bestie senza nome,
numeri senza futuro.

Camminai,
nelle buie camere antiche,
di scuro legno, piegato dal peso dei loro effimeri sogni.
e di candide pareti, pregne della loro sfuggente esistenza.

Camminai,
nelle docce ornate da corone di metallo,
metodiche sterminatrici gelide,
dello sporco dalla loro pelle,
della dignità dalla loro anima.

Camminai,
negli isolati vicoli che li avevano ospitati,
ora dipinti di colori e stili molteplici,
nel vano atto di interrare quegli atti,
d’umana Idea,
d’umana Pazzia.

Infine, giunsi.
sulle sponde del mare della loro ultima essenza,
distesa di granito, abbracciata da venature d’erba consolatrice,
oceano d’immobili respiri, protetto dallo Scudo e dal Re di spine,
nuvole mute, eterne nel loro ruolo di testimoni,
e fievole vento, delicata la sua brezza, anch’egli consolatore.

Camminai,
Camminai,
e piansi.

Piansi d’un dolore non mio.

Piansi della loro soggiogata esistenza.

Piansi delle innumerevoli melodie interrotte,
delle innumerevoli corde tagliate
degli innumerevoli manici spezzati.

Camminai,
leggendo nomi su nomi, sogni su sogni,
osservando migliaia di minuscole pietre, simbolo d’amore dei cari in dolore.

Camminai,
mani gelate, nei miei vestiti tiepidi di fortuna.
e Piansi.

Istituto Filippo Re

Il cammino interminabile nelle stanze fredde di Terezin.