Istituto Cattaneo-Dall’Aglio, Castelnovo ne’ Monti (RE) – 2018

Domenico
Beniamino Debbia

…era il 29 luglio 1944 quando vennero i tedeschi, insieme ai fascisti, a Cerredolo per i rastrellamenti, radunando gli uomini in piazza per poi portarli nei campi di lavoro forzato come Kahla o in altre zone dei territori tedeschi dove c’era bisogno di forza lavoro.

Domenico era uno di questi, venne preso di domenica all’uscita dalla Santa Messa e portato in piazza assieme a tutti gli altri, con lui c’era anche suo cognato Luigi Ibatici.
Domenico aveva tre figli che ogni giorno andavano in piazza a portargli il mangiare; prima Alberto, poi Lucia, poi il fratello, uno per ogni giorno.
Quando venne di nuovo il turno della figlia, la piazza era vuota: erano stati deportati.
Domenico, il cognato e gli altri furono condotti a piedi fino a Sassuolo. Indossavano una camicia estiva, nonostante andassero incontro al gelido clima tedesco.
Da Sassuolo a Fossoli, da Fossoli a Verona dove c’era il centro di smistamento della forza lavoro.
Domenico Debbia fu destinato al campo di Kahla come schiavo di Hitler. Lì morì insieme ad altri 15 compagni del suo comune.

“ Tornavo a casa la domenica mattina dopo la messa. E lì, sul viale che porta davanti alla chiesa, vidi in lontananza delle figure scure, coi fucili in mano.
Sapevo bene chi erano: nazisti.
Terrorizzato riuscii a trovare un attimo di lucidità e decisi di correre in paese per avvisare i miei compaesani che i nazisti stavano arrivando.
Ciononostante mi presero e mi portarono in piazza, a Cerredolo.
Lì, con me, amici e compaesani.
Ero impaurito, l’ unico pensiero era la mia famiglia che speravo stesse bene.
Ci ordinarono di muoverci, direzione Sassuolo, a piedi col caldo e la fatica.
Da lì salimmo poi sul treno che ci portò a Fossoli, dove c’era un campo con baracche di legno…
Là ci fecero registrare: nome, cognome ,luogo di nascita e professione.
Una volta registrati e lasciati i dati personali ci caricarono su un altro treno diretto in Germania.

Durante il viaggio molti provavano a scappare, e venne in mente anche a me ad essere onesti.
Ma i soldati ci avevano detto che qualora un prigioniero avesse provato a scappare 10 persone sarebbero state uccise, così essendo anch’io padre di famiglia non mi sentii in grado di togliere un figlio alla madre per colpa mia.
Dopo questo lungo viaggio in treno arrivammo in Germania.
Arrivammo ad Erfurt, poi in un campo di baracche chiamato Lager E. Vicino c’era Kahla, un paese che vedevamo quando, in colonna, ci portavano al lavoro.
Un lavoro pesante, pik e pala. Decisi di farmi forza e non crollare.
Iniziai a lavorare, attorno a me c’erano compatrioti, ma anche russi e polacchi.
I tedeschi ci trattavano male, eravamo traditori, badogliani.
Tutto il giorno ci facevano scavare fosse, buchi per terra, per non so quale motivo.
L’aria era fetida, acida.
Passò qualche mese e verso dicembre mi ritrovai a fare i conti con il rigido inverno tedesco.
Mi ammalai, le forze iniziavano ad abbandonarmi.
Il cibo dato non era sufficiente per compensare lo sforzo durante il lavoro.
Viste le mie condizioni mi portarono dal medico che mi trattenne in ospedale per qualche giorno.
Scabbia, diarrea, bronchite secondo il medico del campo potevano essere curati con qualche giorno di riposo.
Dopo nemmeno 7 giorni mi rimandarono ai lavori pesanti ad Erfurt.
Lì sono morto il 26 marzo del 1945. Ero nel cimitero nella tomba 29, ma oggi sono di nuovo a casa, a Cerredolo, grazie ai miei figli che mi hanno riportato a casa.

Domenico Beniamino Debbia

8 Via Corbella, Toano, Re 42010, Italia