3E Liceo Scientifico “Piero Gobbetti”, Scandiano (RE) – 2021
GUELFO
FERRARI
Guelfo Ferrari nasce il 19 gennaio 1915 a Cà de Caroli, Scandiano, dove lavora come fabbro. Arruolato nel 1939, Il 12 settembre del 1943 è catturato e deportato a Berlino come Internato Militare Italiano.
Guelfo Ferrari è nato il 19 gennaio 1915 a Cà de Caroli, allora compresa nella parrocchia di Ventoso, da Giovanni Ferrari e Letizia Cavallini; aveva due sorelle, Rina e Adriana, un fratello, Renzo, e un fratello acquisito, Francesco Nino Taddei. Trascorre la sua vita nella Villa di Cà de Caroli 176 – l’attuale via Ubersetto 33 – lavorando come fabbro. Sapeva leggere e scrivere e aveva ottenuto il diploma di quinta elementare, come risulta dai vari documenti dell’Associazione di ex prigionieri di guerra e reduci da gruppi di combattimento.
Viene arruolato il 4 aprile del 1939 ad Avellino, come soldato, e nel 1942 viene trasferito ad Ascoli Piceno, dove svolge un lavoro d’ufficio al Distretto militare. L’8 settembre del 1943, dopo l’armistizio proclamato dal maresciallo Badoglio, trovandosi allo sbando come tanti altri soldati italiani, tenta di ritornare a casa e durante il viaggio contrae la tubercolosi. Il 12 settembre del 1943 viene catturato nella propria residenza di Ca’ De’ Caroli al posto del fratellastro Francesco, attivista antifascista, che si trovava in Africa a combattere e non riusciva a fare ritorno. Viene deportato in Germania, nel campo di concentramento Stalag III D, presso Berlino, e gli viene assegnato il numero di matricola 59334. Questo campo di concentramento era stato istituito il 14 agosto del 1940 per contenere fino a 58.000 uomini, provenienti da Belgio, Regno Unito, Francia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Polonia, Italia, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Essendo itterico, molto debole e malaticcio, il 20 febbraio del 1944 viene visitato e si scopre che è affetto da tubercolosi, così viene trasportato presso l’ospedale Neukolln, Reserve Lazzarett. Il 19 aprile del 1944 viene trasferito all’ospedale 153 a Perleberg, Reserve Lazzarett, dove avverrà il suo decesso. Muore il 25 aprile del 1944, all’età di 29 anni, a causa di tubercolosi polmonare. Viene sepolto al cimitero di St. Jakob, Wilsnacker Str., nel reparto italiano, tomba numero 2. Solo 50 anni dopo, in seguito al crollo del muro di Berlino, le sue ossa potranno essere riportate in Italia ed ora riposa con i suoi cari nel cimitero di Cà de Caroli.
Pagina di diario, frutto della creatività degli studenti basandosi su fonti documentate
24/4/1944
Caro diario,
ti scrivo per quella che potrebbe essere l’ultima volta; mi sto rendendo conto che le mie condizioni non mi permettono di parlarti ancora a lungo.
Qualche giorno fa sono stato trasferito in un nuovo complesso, credo a causa del peggioramento della mia salute; il viaggio è stato terribile, il petto non mi dava tregua e la voce mi ha abbandonato per la continua tosse, sto soffrendo.
Uso le mie ultime forze per scriverti, nella speranza che queste pagine possano tornare a casa, dai miei amati cari, mamma, papà, Nino, da cui sono stato sradicato e portato via. Ecco che arriva di nuovo un tedesco in camice, mi sta guardando, scambia delle parole con un altro di fianco, sembrano seri.
Non mi è rimasto molto, caro amico.
Quel dottore che mi si è avvicinato, senza parole, mi ha fatto capire che non mi rimane più di un paio di giorni. Non mi fanno prendere più niente, mangio soltanto le povere porzioni del mattino e della sera.
Sono stato graziato, sai, ad averti qui con me per tutto questo tempo; durante il secondo trasferimento, ho temuto che avrebbero potuto prendere quel poco che era rimasto di mio, ma sono riuscito a tenerti… e adesso ti saluto.
Domani potrebbe essere il mio ultimo giorno.
Non ho più forze per stare qui.
Ti auguro il meglio, caro diario, e che tu possa tornare a casa, dove sicuramente ti accoglieranno a braccia aperte.
Lettera al fratello Francesco, frutto della creatività degli studenti basandosi su fonti documentate
21/04/1944
Ciao Francesco,
so che è da tempo che non mi faccio sentire, ma la situazione non me lo ha permesso.
Ti ho pensato spesso ultimamente… spero che tu stia bene e che la campagna in Africa sia andata a buon fine, mi chiedo se tu sia già arrivato a casa sano e salvo e, se è così, ti prego di dire ai nostri le mie condizioni, immagino siano parecchio preoccupati. Ti scrivo dall’ospedale Reserve Lazarett 153 di Perleberg, dove mi hanno trasferito, perché qualche mese fa ho iniziato ad avere problemi respiratori e, da allora, la mia salute è peggiorata. Temo che per questo non potremo rivederci, ma ne approfitto per raccontarti ciò di cui nessuno parla…
Il 12 settembre dello scorso anno sono stato catturato dai soldati tedeschi a casa perché, non avendoti trovato, hanno preso me al tuo posto e mi hanno portato in un campo per IMI, lo Stalag III D a Berlino. Dopo un interminabile viaggio in treno con gli altri deportati, arrivato al campo mi hanno perquisito e ritirato le poche cose che avevo con me. In quel momento non avrei mai immaginato che i vestiti che portavo indosso li avrei tenuti fino ad oggi…
Le condizioni in cui “abbiamo vissuto” erano terribili: dormivamo in baracche con brande coperte di paglia che ti facevano svegliare continuamente di notte per il prurito, per non parlare degli scarafaggi e dell’igiene… inesistente. Rispetto al lavoro svolto, il cibo era insufficiente. Spesso dovevamo cercare bucce di patate nell’immondizia e quando eravamo fortunati riuscivamo anche a mangiare topi, lumache e rane. Eravamo così malnutriti da essere ormai ridotti a pelle e ossa.
I controlli durante il giorno erano frequenti e le violenze erano quotidiane, per non parlare delle impiccagioni e fucilazioni. E così le nostre idee di ribellione sono pian piano svanite nel nulla. Continuamente ci veniva proposto di collaborare e combattere per il Reich, ma la maggior parte di noi preferiva l’orribile vita negli Stalag che allearsi con loro.
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Ho fatto amicizia con il mio vicino di branda… mi ricorda un po’ te, grazie a lui sono riuscito a sopportare questi mesi infernali, perché con lui ho ritrovato un po’ di umanità che non vedevo da tempo.
I giorni passavano e nella loro monotonia la speranza di potervi rivedere andava diminuendo, finché l’ultima settimana di febbrai mi è stata diagnosticata la tubercolosi e pochi mesi dopo mi hanno trasferito nell’ospedale da cui ti sto scrivendo ora.
Non so ancora quanti giorni mi rimangono, ma dalle espressioni dei medici credo purtroppo che non supererò la settimana. Continuo a tossire e si è aggiunto anche un dolore al petto, di notte forti sudorazioni non mi permettono di dormire e mi sento molto stanco e debole.
Vorrei avere ancora le forze per continuare la lettera, ma la guardia vuole che gliela consegni prima che arrivi il suo sostituto: è l’unica che ha avuto pietà di me e mi ha permesso di scriverti.
Non so se leggerai mai queste mie parole, ma spero che tu ci riesca, in modo da considerarle come il mio ultimo saluto. Ricorderò sempre i momenti che abbiamo passato insieme in famiglia, vi auguro il meglio.
Guelfo
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Guelfo Ferrari
Via Ubersetto 33
42019 Scandiano