Che impegni possiamo prendere nel ritorno a casa da questa esperienza?

Sulla strada del rientro a casa dopo questa esperienza ad Auschwitz, mi prendo l’impegno di non dimenticare le sensazioni e le emozioni che ho provato in questa giornata. Sono rimaste impresse nella mia mente tutte le foto e tutte le testimonianze conservate ed esposte nel museo e penso sia indispensabile non dimenticare. Di sicuro, mi preoccuperò di trasmettere tutto ciò che ho provato oggi alle generazioni che mi seguiranno e a chi non ha mai potuto provare l’esperienza di visitare questo immenso “cimitero a cielo aperto”.
Appunto con lo scopo di documentare, in questa giornata, mi sono impegnato a scattare molte foto e a registrare molti video, per mostrare le testimonianze del campo di sterminio polacco al mio ritorno a casa, sperando che le mie sensazioni vengano colte con la stessa intensità con cui le ho vissute io dalle persone a cui mostrerò tutte le immagini fissate.

Cos’ho capito e cosa mi ha emozionato?

In questa giornata ho capito in modo più approfondito quali atrocità hanno subito tutti i prigionieri innocenti della politica nazista.
Un aspetto che mi ha impressionato molto è stato la disciplina violenta e rigidissima del campo che portava i prigionieri a commettere azioni che altrimenti non avrebbero mai compiuto, ma essi erano costretti a compiere tutto ciò, poiché erano spinti dall’istinto di sopravvivenza. Mi ha impressionato come un prigioniero riuscisse ad ucciderne un altro ammalato, per riuscire a sopravvivere, solo per ricavarne pane e scarpe. Questa non deve essere considerata un’azione di egoismo, ma di sopravvivenza causata dal terrore nazista.
Mi hanno impressionato molto i dipinti del pittore Olere, deportato e sopravvissuto che in ogni sua opera rappresenta se stesso attraverso il proprio numero tatuato assegnatogli nel campo. I suoi quadri mi hanno colpito, perché l’autore evidenzia con grande realismo ed espressività le atrocità che si compivano nel campo.
Un’altra prova della disumanizzazione attuata nel campo e che oggi mi ha fatto molto riflettere è l’accumulo dei capelli dei deportati, essi erano destinati a essere venduti e trasformati in tessuti. Questo mi ha fatto capire ancora più a fondo come alle persone venisse tolta la loro dignità, quindi la loro identità personale.
Uscendo dal campo, però, mi è rimasta solo una domanda a cui non sono ancora riuscito a rispondere… ed è il perché di tutto questo.

Andrea Gerri, classe 4F, Istituto Scaruffi