Francesca e i tanti spunti generati dalle visite a Schöneweide e Sachsenhausen.
Baracche lunghe e basse, senso temporaneo di claustrofobia e da qui posso immaginare, anche se minimamente, come abbiano sofferto le centinaia di persone internate che dovevano stare ammassate come animali pronti al macello. Eravamo tutti infreddoliti: noi avevamo giacche e sciarpe di lana, loro camicie di cotone leggero e scarpe di cartone. La società odierna ha regole precise: rispetta la nostra intimità assegnandoci spazi che proteggono i nostri diritti. Lì, in quelle baracche, la società venne ribaltata fino all’annullamento totale: i bagni degli internati non erano suddivisi secondo il sesso, al contrario erano tutti uniti; le donne si vergognavano, ma non potevano fare nulla, erano costrette a condividere la loro nudità, a sacrificare il loro pudore. E poi ci sono i bunker, lì dove gli internati rimanevano rinchiusi per ore e ore mentre le bombe degli alleati attaccavano il territorio, creando confusione e paura. Mentre il regime tentava di annullarli, loro appuntavano date, pensieri e moniti sui muri, consegnando a quel muro un po’ della loro umanità.
Proseguendo nella nostra visita, abbiamo discusso della coalizione tra Germania e Italia: i Paesi che avrebbero conquistato il mondo, insieme. Peccato che il Bel Paese fosse impreparato alle varie battaglie e più volte i tedeschi sono stati costretti a soccorrerlo. Poi la storia cambiò radicalmente, poiché l’Italia firmò l’armistizio che fu causa dell’internamento dei nostri connazionali.
La mostra di “chi disse no” è stata interessante, perché entrava nei dettagli personali dei soldati che si rifiutarono di combattere contro la propria nazione rischiando persino la vita. Ci è sembrato di tornare indietro nel tempo e di entrare nella quotidianità di quei momenti che a molti appaiono lontani e antichi: l’arrivo dei soldati tedeschi. Gli spari. La richiesta di entrare nella loro squadra militare. Il rifiuto e la deportazione.
Tutti i loro racconti ci hanno insegnato a mantenere la nostra dignità e a rispettare prima di tutto noi stessi e gli ideali che ci appartengono. Nonostante il tema degli IMI non sia molto discusso, questi personaggi sono motivo di grande orgoglio per ognuno di noi, dal primo all’ultimo, ed è per questo che dovremmo continuare a parlarne, a mantenere viva la memoria di quei soldati che hanno sudato e sputato sangue per la loro patria.
Francesca Valli – 4AT Istituto Motti Tecnico – Reggio Emilia