Tre studenti dello Scaruffi alle prese con l’omaggio floreale dopo la visita al campo

L’ultimo posto visitato durante questo viaggio della memoria è stato il campo di concentramento di Sachasenhausen.

Dopo aver concluso la visita guidata, è stato concesso un po’ di tempo individuale per poter riflettere su ciò che è realmente accaduto e per concentrarsi sulle emozioni provate, posando su un luogo significativo un garofano bianco.
Sulla base di un confronto, tre ragazzi si sono resi conto di voler posare questo fiore negli stessi luoghi: nei dipinti della cucina, nella camera di una baracca e all’ingresso del campo.

Il ragazzo ha posato il garofano nella cucina perchè per lui simboleggia, attraverso i tanti dipinti, la forza di volontà che i deportati possedevano; infatti, nonostante essi conoscessero il loro destino cercavano sempre un aiuto reciproco.
Una delle due ragazze ha voluto mettere il fiore su un letto di una baracca perchè, per lei, era un luogo nel quale i deportati stavano tutti insieme e potevano aiutarsi a vicenda.
Anche la guida ha spiegato che solitamente l’uomo più anziano era considerato colui che aveva il compito di razionare il cibo fra i suoi compagni di baracca: era un ruolo molto diffcile poichè doveva pensare a se stesso come pensava agli altri.
L’altra ragazza, per via dell’indecisione, guardando il garofano ha deciso di staccarne i petali e di riporli nei tre diversi luoghi. Il primo mucchio lo ha messo in cucina, sotto il dipinto di alcune carote che rappresentavano la situazione psicologica dei deportati. I deportati, spesso soggetti a esperimenti, attraverso questo dipinto hanno voluto raffigurare la loro condizione precaria e la loro costante paura all’interno del campo. Il secondo mucchio lo ha posato all’interno di un baracca dove capì che la vita dei deportati, in un posto in cui dovrebbero sentirsi alleviati da queste situazioni, era in realtà più difficile. Questo perchè all’interno della baracca vivevano il doppio delle persone di quello che in realtà questa poteva contenere. In un letto a castello composto da tre letti dormivano in tutto nove deportati, e a causa dell’elevato numero di persone vivere all’interno di queste baracche era un’ulteriore diffcoltà.

L’ultimo mazzetto di petali, invece, lo ha messo all’ingresso del campo, dove vi è subito una piazza in cui si faceva l’appello, che si teneva due volte al giorno e, spesso e volentieri, durava molte ore. In questa situazione, anche la guida, ha fatto notare la sofferenza, la paura e il timore dei deportati.

Queste emozioni sono le nostre.
Simone Berzieri, Beatrice Braghini e Sara Torreggiani – 4A Istituto Scaruffi – Reggio Emilia