Alla richiesta “Ti è piaciuto Auschwitz?” non è possibile rispondere. Una dichiarazione affermativa sarebbe probabilmente fuori luogo, ma anche una risposta negativa risulterebbe fuorviante.
Di fronte a tanto odio, dolore e disperazione, sicuramente, non si può rimanere indifferenti. Ma come reagire quindi? Non lo so. Credo fermamente che Auschwitz sia più un’esperienza emotiva che un semplice luogo e, come tale, non ha prassi da seguire. La reazione dipende da individuo a individuo.
Quando si attraversano i cancelli, si subentra in un’atmosfera surreale, ferma nel tempo, quasi in stasi. L’aria cambia e, con lei, le emozioni. L’alienazione che provoca il più grande cimitero del mondo nel visitatore è qualcosa di inspiegabile: come un nodo alla gola, l’angoscia e lo sconforto bloccano ogni possibilità di pensiero.
Ma perché? Dopotutto, si potrebbe dire, ormai è successo. Ormai è passato. Nonostante ciò, entrando lì questo accade di nuovo. È impossibile non percepire le grida, lo strazio di cui è impregnata l’aria di quel luogo, sentire l’odore del sangue che nutre quella terra. Eppure ora Auschwitz appare così distante. Una grande dispensa di ruggine impossibilitata dal tempo, esattamente come una persona anziana non ha più la forza di essere chi era.
Lo stesso luogo mi induce a dubitare della nostra stessa natura di uomo. Mi domando perché appartengo a una specie che compì un massacro di questo tipo, che comunque risale a ben poco tempo fa. Sono rimasto impietrito di fronte alla razionalità e meticolosità con le quali l’Infernosia stato concepito. Lo scopo ultimo della visita al”Auschwitz-Birkenau”non è quello di comprendere il perchédi questo, cosa irrealizzabile dalla mente. Al contrario,è quello di, riuscire a prevenire il ripetersi di questo. Spegnendo ogni scintilla che potrebbe ri-appiccare l’incendio dell’Olocausto.
In conclusione, tornando sulla domanda iniziale, proponiamo come risposta a questo ricorrente quesito il silenzio.
Fabrizio Pelli e Giovanni Varini, classe 4, Liceo Scientifico Zanelli