Oggi, passeggiando per il quartiere ebraico di Cracovia, ho domandato alla nostra guida se e quanti ebrei vivessero ancora in città. La sua risposta mi è rimasta impressa come uno scatto fotografico :“E’ difficile ora come ora distinguere chi è ebreo e chi è polacco. Dopo la fine della Seconda Guerra, gli ebrei non hanno più avuto il coraggio di mostrarsi per i loro costumi, la loro cultura, il loro credo. Si sono resi uguali a noi in tutto e per tutto.”
In un primo momento ho pensato che bisogno ci fosse a parole di differenziare le persone di religione ebraica da tutto il resto della popolazione; l’ebraismo è un culto, non una nazionalità, non fa di loro persone altre, piuttosto esseri umani, come i polacchi, gli italiani e i tedeschi, e ciò prescinde la religione. Poi ho capito che non si trattava di una forma di discriminazione ma del fatto che la professione di fede ebraica ha insita tratti molto particolari (si pensi solo ai caratteri di aspetto fisico e vestiario, la cucina kosher ecc.) che rende i propri fedeli unici nel loro genere e riconoscibili fra mille. E riflettendo su ciò, mi sono vergognata. Non so esattamente il motivo di tale vergogna ma non riuscivo a capacitarmi di come degli essere umani avessero potuto portare altri esseri umani a nascondere e ad abbandonare la loro vera identità naturale e spirituale, e tutto per paura e orrore. Perdere il coraggio di essere sé stessi è una delle cose, a parer mio, più terribili per un uomo.
E forse la memoria non consiste solo nel ricordare l’olocausto come evento storico e criminoso in sé e far sì che non accada mai più, ma anche nel farci aprire gli occhi su quanto sia vasta, ricca e meravigliosa l’umanità, ed è nostro compito preservarla a tutti i costi. Saremmo persi senza.
La scelta è nostra.
Maya Menozzi, 5G Matilde di Canossa